A Parma, le pagine di Verdi assieme a stralci wagneriani, nell’interpretazione asciutta e straordinariamente intensa di Daniele Gatti, a dirigere Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino.

Difformemente dalla più nota produzione di Giuseppe Verdi, i Quattro pezzi sacri sono un condensato di “lucida essenzialità”, per rubare le parole al musicologo Alberto Zedda. Composti autonomamente tra il 1889 e il 1896 e riuniti dietro insistenza di Ricordi, sono frutto di un accostamento tra due pagine strumentali e due vocali. L’Ave Maria, in latino, è scritta “sopra una scala enigmatica” per coro a cappella; lo Stabat Mater per coro misto a quattro voci e orchestra, su un testo in latino di Jacopone da Todi; le Laudi alla Vergine Maria, in italiano, sono tratte dal XXXIII canto del paradiso dantesco e scritte per coro femminile di contralti e soprani; il Te Deum, anch’esso in latino, per due cori a quattro parti e orchestra, con un breve intervento solistico del soprano che innalza una invocazione alla Vergine. La prima esecuzione, il 7 aprile 1898 all’Opéra di Parigi, riguardò Tre pezzi sacri, in quanto l’Ave Maria fu aggiunta successivamente. La preparazione in Francia fu affidata ad Arrigo Boito perché Verdi si sentiva già vecchio e stanco. Morì il 27 gennaio 1901.

Il Festival Verdi al Teatro Regio di Parma ha proposto un’esecuzione di raffinata caratura, che ha anticipato il concerto della sera successiva a Firenze. Il programma ha affiancato i Quattro pezzi sacri a tre stralci strumentali tratti dal Parsifal di Wagner. Sul podio, una delle bacchette più prestigiose al mondo, Daniele Gatti, a dirigere Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino. La formazione orchestrale ha palesato un’empatica coesione d’intenti e un suono nitido (a parte una perdonabile imprecisione), mentre il Coro, preparato da Lorenzo Fratini, ha brillato per l’intonazione ineccepibile e per la solida pastosa compattezza. Soprano solista, per le poche battute che le competevano, era Caterina Sala.  

In apertura, Daniele Gatti ha fatto emergere con profondità di pensiero e con magistrale equilibrio dinamico la tensione drammatica di Wagner, la sua ricerca di fede espressa attraverso il percorso esperito da Parsifal, che prelude alla rinascita e alla conclusione salvifica. Il direttore ha poi fatta mirabilmente propria la ‘lezione’ di Verdi, al quale ha riservato una lettura egualmente improntata al rigore e all’equilibrio, sia pure nelle ovvie differenze interpretative riservate ai due compositori.

Una lettura splendidamente asciutta, ricondotta a una luminosità che non ha abbisognato di sovrastrutture per esprimersi, al contempo intrisa di quella malinconica tristezza, di quel senso di solitudine e spaesamento che assale l’uomo quando compie i suoi ultimi passi terreni. Trasudante altresì una profonda spiritualità, una forma di religiosità equivalente al protendersi verso l’insondabile, verso il trascendente, che Gatti ha perfettamente recepito ed espresso. Il terrore nei confronti dell’ignoto, del mistero della morte, si traduce in una invocazione a Maria, che con amore consola i patimenti dell’uomo. Tuttavia Verdi non lascia margine alla speranza. La lettura di Gatti è stata di conseguenza dolorosa, votata al pessimismo verdiano che però non ha costituito un peso, bensì il desiderio di congiungersi all’Infinito.  

Peccato che gli ascoltatori, pur numerosi, non abbiano completamente esaurito i posti in teatro, forse disincentivati dall’insolito orario tardo pomeridiano. Si è comunque percepito distintamente essere un pubblico di qualità, le cui esternazioni entusiastiche hanno quindi acquisito un valore speciale.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma, Festival Verdi, il 15 ottobre 2022
Contributi fotografici: Roberto Ricci